Il Covid 19 dall’inizio della pandemia ha colpito duramente il comparto degli allevamenti con un notevole impatto sulle attività produttive. A renderlo noto è l’Istat sottolineando come la pandemia ha ridotto di circa un quinto le macellazioni, mandando sottosopra il sistema italiano. Secondo l’Istituto di statistica, durante il lockdown, con la chiusura diffusa di hotel, ristoranti e catering, le vendite al consumo si sono concentrate sempre più sugli ipermercati, creando numerose difficoltà nella distribuzione e commercializzazione di prodotti provenienti da piccole e medie aziende agricole.
Uno dei fattori più impattanti sul lavoro degli degli allevatori e in generale la vita in azienda, è stato il blocco degli spostamenti che ha comportato una riduzione dei contatti tra gli allevatori e altri operatori del settore: “Le forme di aggregazione, discussione, confronto (fiere, manifestazioni, assemblee, riunioni, ecc.) – sottolinea l’Istat sono state sospese e riprenderanno con difficoltà nel breve-medio periodo. Da un lato questa riduzione degli impegni extra-aziendali ha permesso agli allevatori di dedicare maggior tempo alla conduzione dell’azienda. Dall’altro, la difficoltà ad avere contatti diretti con i tecnici e i venditori ha impattato sulla tradizionale organizzazione del lavoro, sull’assistenza tecnica e sulla vendita di prodotti zootecnici (mangimi, integratori)”.
Vista la grande difficoltà del settore, a livello europeo si è lavorato per venire in soccorso delle realtà settoriali. Nello specifico la Commissione europea ha adottato alcune misure per aiutare il settore agricolo, compresa l’introduzione di un’eccezionale flessibilità e semplificazione nell’uso del Fondo agricolo europeo per lo sviluppo rurale: “Ad esempio, si legge nel rapporto i fondi disponibili possono ora essere destinati alla cooperazione nella catena di approvvigionamento alimentare, con gli agricoltori che vendono direttamente ai consumatori o la creazione di servizi di consegna a domicilio; gli investimenti a livello di azienda agricola possono essere sostenuti per la trasformazione, la commercializzazione o l’imballaggio degli alimenti, ecc.”.
Sempre la Commissione ha adottato misure eccezionali per i mercati agroalimentari che hanno avuto il maggiore impatto della pandemia, tra cui misure per gli aiuti all’ammasso privato nei settori lattiero-caseario e delle carni. Il 30 aprile 2020 ha inoltre presentato una proposta di modifica dell’atto di base sullo sviluppo rurale (Reg. UE n. 1305/2013) che mira a inserire una nuova misura che consentirebbe agli Stati membri di versare una somma forfettaria agli agricoltori e alle piccole imprese agroalimentari particolarmente colpite dalla crisi Covid19.
Entrando nello specifico dei numeri degli allevamenti italiani, si registra forte riduzione delle macellazioni causata dalla adozione delle misure di prevenzione per il contenimento del contagio nei macelli e dalla diffusione di fake news sulla propagazione del virus anche a partire dagli stabilimenti di macellazione. Per quanto riguarda la macellazione di suini nel primo semestre del 2020 ha registrato in totale un calo del 20,2% rispetto allo stesso semestre del 2019, con una leggera ripresa solo nel mese di giugno. Più basse, ma comunque evidenti, le contrazioni nei settori bovini e bufalini: “Nel primo semestre del 2020 – si legge nel rapporto è stato macellato in totale il 17,8 per cento in meno rispetto allo stesso semestre del 2019. A fronte di una riduzione di domanda si è fatto ricorso al rinvio della macellazione: analogamente ai suini, si registra una evidente ripresa delle macellazioni da giugno, con valori quasi allineati a quelli dello stesso mese dell’anno precedente”. Tutto ciò andando ad influenzare il deprezzamento del valore dei capi, l’aumento dei costi di alimentazione e la difficoltà nella gestione degli spazi a causa del rallentamento del flusso di uscita degli animali.
Per quanto riguarda le importazioni, il blocco causato dal periodo di lockdown ha fatto diminuire sia l’importazione di bovini e bufalini (-1,2 per cento) ma soprattutto quella che riguarda i suini (-21,6 per cento), molto probabilmente a causa di un sovrannumero di capi detenuti dagli allevatori e non macellati nel periodo considerato. Tendenza inversa per quanto riguarda l’export che sempre nel primo semestre 2020 ha fatto registrare aumenti, sempre seppur con numeri contenuti, dei capi di bestiame, infatti si è avuta una crescita apprezzabile dei capi bovini e bufalini esportati (+15,1 per cento) e dei suini (+2,2 per cento).
L’istat punta lo sguardo anche sulla marcata riduzione dei prezzi di vendita. Per il 63,6 per cento delle aziende la pandemia, infatti, ha avuto e avrà un impatto sulla propria azienda agricola (per il 64 per cento gli effetti sono “sostanziali”). A livello territoriale ad aver risentito della diminuzione dei prezzi sembra essere soprattutto il Nord Italia, con un dato che supera il 70 per cento delle aziende, mentre nel Centro-sud è inferiore al 50 per cento. Nello specifico è il Nord-ovest ad aver risentito maggiormente dell’inflessione (68,6 per cento delle aziende), meno importante al Centro 53,7 per cento). La principale ripercussione subita dagli allevatori è la riduzione dei prezzi di vendita (63,4 per cento), seguita poi dalla riduzione della domanda (55,3 per cento). Esattamente l’opposto si registra per la riduzione della domanda, il cui dato nazionale del 45,9% è fortemente condizionato da Sud e Isole che si attestano a circa il 70 per cento: “Ciò è dovuto anche alla difficoltà del trasporto merci in questo periodo, specialmente nelle Isole: quasi il 25 per cento delle aziende del Sud, contro un 15 per cento nazionale, indica la consegna tra le difficoltà avute”.
Per le prospettive future, le preoccupazioni principali riguardano sempre la riduzione dei prezzi di vendita (51,7 per cento delle aziende) e la riduzione della domanda (47,2 per cento). Anche in questo caso la riduzione dei prezzi è temuta dalle aziende ubicate nel settentrione (oltre il 55 per cento) mentre la riduzione della domanda preoccupa quelle del Centrosud (circa il 60%). Altra preoccupazione è la mancanza di liquidità, che viene paventata principalmente dalle aziende del Centro-sud (37 per cento).
Secondo l’Istat problemi sorti o che sorgeranno a causa del lockdown sono differenti a seconda della dimensione dell’azienda. L’impatto generale più comune è relativo alla riduzione dei prezzi di vendita dei prodotti (63,4 per cento delle aziende), con un effetto però notevolmente più marcato per quelle di grandi dimensioni (86,9 per cento) rispetto alle piccole (55,7 per cento). Ma problemi si sono registrati anche per quanto riguarda la domanda. Secondo l’Istat è stato il 55,3 per cento delle aziende a segnalare il problema: la differenza tra aziende grandi e piccole è minore, ma l’incidenza risulta comunque maggiore per quelle piccole e grandi (circa il 58 per cento) rispetto a quelle di dimensione media (45 per cento). Un impatto meno comune ma comunque significativo è la difficoltà nella consegna della produzione, segnalata dal 17,5 per cento delle aziende, senza grandi scostamenti dovuti alla dimensione aziendale. Per quanto riguarda i timori di conseguenze future, i più comuni sono quelli di riduzione della domanda (47,2 per cento) e la riduzione dei prezzi di vendita dei prodotti (51,7 per cento). Quest’ultima si rileva principalmente per le grandi aziende (60% circa). Altro aspetto temuto per il futuro dalle aziende agricole è la mancanza di liquidità (34,5 per cento).
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