Amateci più che potete

La chiamano “festa” e questo termine, come sappiamo, non è riconducibile ad un concetto di costanza, ma all’idea di evento occasionale. Poi se pensiamo all’origine dell’8 marzo e al sacrificio delle 129 donne di New York arse vive perché scioperavano per un loro diritto, il concetto di festa si azzera per lasciare spazio a quello di lotta, che è proprio il motivo per cui esiste un giorno commemorativo dedicato alle donne. 

Poi certo: il tempo passa, i costumi cambiano, cambiano le posizioni sociali, il legislatore si adegua e spesso il motivo originario lascia il posto a nuove evoluzioni simboliche. L’importante però è conoscere e non dimenticare. Giudico l’8 marzo non come una festa tradizionalmente intesa, ma come l’ideale anniversario del ripristino della naturale emancipazione della donna dall’uomo. E parlo di ripristino perché, come sappiamo, “la condizione della donna”, come “la condizione meridionale” del resto, non è un fenomeno che esiste in natura, ma è un evento, appunto, condizionato dalla necessità che l’uomo troppo spesso esprime di dover sottomettere i suoi simili per l’ottenimento di una supremazia inspiegabile. Festa è quando si ottiene qualcosa di non previsto, insperato, inimmaginabile. Festa è quando un’invenzione, che non esisteva in precedenza, migliora la nostra vita. Festa è quando si trova un rimedio, che non esisteva in precedenza, per una malattia. Festa è quando, in generale, un evento lieto ci coglie. Certo, festa può essere anche il ricordo della ottenuta uguaglianza tra uomo e donna, ma su questo è necessario fare una riflessione un po’ più approfondita per non rischiare di ridurre il tutto a una giornata di evasione da un quotidiano ìmpari. E la riflessione nasce dal fatto che la parità non è la conquista di una cosa impensabile o inimmaginabile, la parità è la condizione prima con cui siamo stati creati e di cui la donna è stata privata. 

Le nostre conquiste non sono dei passi verso il progresso, ma sono un ritorno all’origine, alla pulizia della creazione non contaminata del volere dell’uomo. I due sessi nascono con pari dignità. È l’uomo che ha destinato la donna a quella subalterna condizione dalla quale per secoli ha tentato di affrancarsi, a volte riuscendoci, a volte no. Ancora oggi in diversi Stati la donna non è considerata l’ultima creazione di Dio, quella dopo la quale Dio si riposò perché aveva dato il meglio di Sé. Ancora molto c’è da fare in termini di diritti. Ancora strenuamente mi batterò contro l’utilizzo della donna come proprietà privata e come oggetto, contro l’assoggettamento e l’infibulazione, contro ogni violenza fisica e psicologica e contro tutto quanto vìoli la libertà di pensiero e d’azione delle donne. E da donna ringrazio tutte coloro che hanno dato se stesse perché io potessi essere libera.
Ma al di là di questo sono davvero contenta che oggi molti di voi uomini guardino alle nostre lotte con occhio fiero, al punto di ricordare quelle di ieri con commozione e sposare quelle di oggi celebrando un giorno che ci abbraccia tutte e bene rende il senso di appartenenza allo stesso popolo. 

A proposito di donne impegnate, un padre certosino una volta mi disse: “Se ci fossero più donne a governare, ci sarebbe un maggiore equilibrio. Le donne hanno una grande forza“. Sono d’accordo. Anche Aristofane lo era, tanto che le mise al potere in una delle sue commedie più riuscite. E anche le assicurazioni sulla vita lo sono perché per le donne prevedono un premio più alto poiché, in quanto generatrici di vita, sono biologicamente più forti. Io mi diverto un mondo quando tratto questo argomento con gli uomini, perché sottolineo sempre che io non ho mai voluto né cercato la parità, ché per una donna essere pari all’uomo significa fare un passo indietro. Ovviamente gioco. Ma spesso l’ironia è necessaria. A volte anche salvifica. 

Amateci più che potete. È la sola cosa che davvero conviene. 

 

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