Crisi: come possono reagire le piccole imprese agroalimentari?

Nel “2° Rapporto sulla domanda e l’offerta dei prodotti alimentari nell’emergenza Covid-19”, a cura di Ismea, si descrivono i trend che stanno rivoluzionando i canali di acquisto dell’agroalimentare. In particolare quello che era un canale di commercio poco usato in Italia, quale l’e-commerce, a seguito delle restrizioni e delle cambiate abitudini di acquisto, ha visto nei primi mesi del 2020 una crescita del più 160 per cento su base annua (dati Ismea-Nielsen). Una domanda improvvisa di delivery food, che non ha trovato pronta l’offerta, in particolare delle catene distributive. Infatti il servizio di consegna da parte del punto vendita era attivo, chi più chi meno, da diverso tempo per gestire piccole richieste, data l’italica necessità di toccare-guardare la merce prima dell’acquisto. 

Esistono solo le grandi catene commerciali? Cogliendo il trend, le aziende agroalimentari più dinamiche stanno rafforzando la vendita diretta e/o la vendita online. Sembrano queste soluzioni atte a non erodere i margini di guadagno altrimenti ceduti alle Centrali di acquisto della Grande distribuzione. Perché non le adottano tutte le imprese? La maggior parte delle realtà produttive sono ferme, non per impossibilità tecnica, ma aspettano tempi migliori. Eppure le produzioni agricole vanno ‘curate’ e il personale impiegato deve essere pagato. Le ragioni di tale immobilità sono molteplici, dai costi della struttura logistico-commerciale all’enorme quantità di piccoli acquisti che dovrebbero essere assicurati per ripagare lo sforzo imprenditoriale. Le imprese agroalimentari inoltre, basano una buona fetta del loro fatturato sul comparto turistico nazionale, che con un singolo acquirente possono alzare il ricavo medio per atto di vendita; valori ben più lontani da quelli di un consumatore tipo sui siti di e-commerce o presso l’azienda. La realtà attuale è un azzeramento del turismo, tanto che si stima, nel settore dell’Horeca (acronimo di Hotellerie-Restaurant-Café) e tutto il canale collegato, una perdita di fatturato del 75% nel 2020 rispetto all’anno precedente (dati Fipe). Le aziende più penalizzate dal crollo del turismo sono, dunque, quelle piccole e locali, che non hanno la forza di interfacciarsi con i canali della Distribuzione Organizzata oppure situate in zone lontane dai grandi ‘divoratori’ urbani. 

Rimane per ultimo l’export agroalimentare italiano, che è cresciuto del tre per cento tra gennaio ed agosto 2020 su base annua (dati Nomisma). Segmento da rafforzare, perché dopo la crisi sanitaria ci si aspetta quella economica con riflessi sulla capacità di spesa dei consumatori nazionali. Resta il problema che senza un’adeguata cultura imprenditoriale l’opportunità dei mercati esteri non può essere colta, al pari dell’e-commerce, penalizzando così le piccole e microimprese, che rappresentano il 98% della nostra filiera agroalimentare. Diviene strategico, allora, l’impegno delle associazioni di categoria, che per la loro capillarità e conoscenza del territorio, possono diventare strumento di guida e aggregazione sostenibile per i loro associati. I progetti e gli strumenti messi a disposizione dall’Unione europea possono essere così meglio compresi e utilizzati sotto una guida fidata e conosciuta dalle piccole realtà aziendali. In questo modo le associazioni di categoria traghetteranno il tessuto imprenditoriale nazionale verso un contesto imprenditoriale sostenibile e locale in sintonia con la strategia europea che verrà, cioè “Farm-to-fork” (letteralmente “dal produttore al consumatore”per un sistema alimentare dell’Unione europea più sano e sostenibile). 

 

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