Giovanni Aranciofebo: “Sfido in moto l’handicap”

Non arrendersi mai e rispondere alla vita con forza e caparbietà. Quando si parla di disabilità molto spesso non si tiene conto di uno dei fattori che più può rappresentare un vero e proprio spartiacque nella storia personale, quella linea sottile che una volta valicata spezza lo spirito e fa precipitare in un vortice di paure e sofferenze. È quel confine tra la voglia di ricominciare a vivere una nuova vita oppure lasciarsi andare. Giovanni Aranciofebo è un esempio concreto di chi ha deciso, guardandosi allo specchio, che il suo braccio mancante non doveva essere un limite ma una scintilla di ripartenza per affrontare la quotidianità con occhi nuovi: “Quando si subiscono delle amputazioni anche il cervello affronta un trauma e quindi è molto importante reagire e non lasciarsi abbattere. 

Dipende tutto da noi. Non è facile perché anche se sei una persona solare e forte i momenti di abbattimento arrivano. Quando le persone cominciano a guardarti in modo strano, cominci a chiuderti in te stesso e non uscire più di casa. Proprio come stavo facendo io. Un giorno mi sono guardato allo specchi e mi sono detto “Giovanni che vogliamo fare andiamo avanti o ci lasciamo andare”. E sono andato avanti, per me e la mia famiglia. Oggi riesco a fare tutto come prima almeno al 98 per cento. Oggi quando entro in pista mi sento libero. Abbasso il casco, accelero e vado”. Atleta paraolimpico, amputato al braccio destro e campione di motociclismo su pista, Giovanni ha fatto del suo amore per le due ruote, la sua forza combattiva. Siciliano della provincia di Messina, 49 anni, oggi gareggia insieme ai piloti normodotati nel Campionato regionale siciliano, grazie all’ausilio di una protesi collegata alla sua moto e, per chi è un habitué delle due ruote, questo ha quasi il sapore di miracoloso, visto che con la sola mano sinistra si destreggia tra acceleratore, frizione e freno: “Mi diverte tanto entrare in pista e vedere molte persone che vengono a vedermi anche per la curiosità di capire come una persona nelle mie condizioni riesca a pilotare una moto da corsa. Io cerco di dare sempre il massimo e sono felice quando vedo che a livello di tempi nei giri non c’è poi così tanta differenza tra me e un pilota normale”. Da poco ha iniziato a vestire i colori dell’associazione Aida Onlus di Laureana di Borrello e, Covid permettendo, ricomincerà a girare nelle piste della Sicilia e dell’Italia: “Ho conosciuto l’Aida Onlus e con il suo presidente Reno Insardà c’è stata subito empatia e una visone comune. Così ho deciso di entrare a far parte dell’associazione e di gareggiare per loro. Anche se sono sulla soglia dei 50 anni non voglio fermarmi e togliermi ancora tante soddisfazioni”. 

La parola “stop” non esiste nel vocabolario di Giovanni. Da quel lontano 31 agosto 2010 quando, mentre lavorava, delle travi gli sono venute addosso provocando lo schiacciamento dell’arto destro superiore e la conseguente amputazione, non ha mai voluto mollare: “Ho dovuto ricominciare una nuova vita ripartendo da zero. Mi sono messo in discussione – racconta e ho imparato a fare tutto con una sola mano. È stato un po’ traumatico all’inizio perché non ti rendevi conto di quello che eri diventato rispetto a quello che eri. Il trauma peggiore è stato quello di non poter più guidare la moto”. 

La provvidenza arriva due anni dopo il suo incidente quando vede in tv due ragazzi amputati girare in pista con delle moto stradali riadattate: “Mi sono subito messo in contatto con loro e sono andato a conoscerli. È stata una illuminazione. Mi sono detto come ci sono riusciti loro posso farcela anche io. E senza che me ne rendessi conto stavo già comprando tuta casco e moto”. Dopo un periodo di addestramento, Giovanni ha iniziato a fare diverse gare, dal Mugello a Vallelunga fino a Nürburgring in Germania: “All’inizio ho cominciato a gareggiare con ragazzi disabili facendo un po’ di podi. Dopodiché insieme ad alcuni ragazzi di Messina abbiamo comicità a girare sul circuito della Valle dei Templi a Racalmuto in provincia di Agrigento. Li sono stato invitato dall’organizzatore a partecipare al campionato tra i normodotati. Ho accettato la sfida e nei campionati mi sono sempre riuscito a classificare in ottime posizione. Con i piloti c’è stata subito empatia e a loro ho chiesto di non farmi sconti come io non avrei fatto a loro”. Quello che però più gli preme è trasmettere speranza e fiducia a tutti quei ragazzi che, come lui, hanno avuto la vita stravolta. Perché la strada da percorre è lunga e difficoltosa. E non solo a livello emotivo: “Per le persone disabili, dal punto di vista legislativo c’è ancora molto lavoro da fare. Io mi posso considerare un fortunato perché il mio infortunio è rientrato tra quelli sul lavoro e qui l’Inail mi ha aiuto nell’acquisto delle protesi anche per la moto. Però ci sono persone che per nascita o per malattia si trovano nelle mie stesse condizioni hanno molta meno assistenza. Le Asl ti aiutano ma solo a metà. Se si vogliono utilizzare protesi all’avanguardia, che hanno un costo anche vicino ai 30 mila euro, è facile capire come molte persone si trovino in difficoltà e devono optare per soluzioni meno qualificanti. Spero però che il mio esempio possa essere di aiuto a tante persone come me. Voglio far capire loro che la vita va avanti sempre e comunque”. 

 

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