I diritti dei disabili nel mondo del lavoro

L’articolo 19 della Convenzione Onu del 2006 sancisce “l’eguale diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella comunità, con la stessa libertà di scelta delle altre persone, e (gli Stati Parti di questa Convenzione, n.dr.) prendono misure efficaci e appropriate al fine di facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità di tale diritto e della piena inclusione e partecipazione all’interno della comunità”. Continua affermando che gli Stati devono garantire che “le persone con disabilità abbiano accesso a una serie di servizi a domicilio o residenziali e ad altri servizi sociali di sostegno, compresa l’assistenza personale necessaria per consentire loro di vivere nella società e di inserirvisi e impedire che siano isolate o vittime di segregazione.” 

La Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, adottata il 13 dicembre 2006 durante la sessantunesima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, rappresenta il primo grande trattato internazionale in materia di diritti umani del XXI secolo. Scopo della Convenzione è quello di “promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed eguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro inerente dignità”. L’adesione al documento sulla protezione e promozione dei diritti e della dignità delle persone con disabilità da parte di tutti gli Stati membri, ha rappresentato la conclusione di un lungo cammino iniziato con la Dichiarazione Universale dei diritti umani del 1948 e consolidatosi nel corso dei decenni per la riaffermazione del principio di “universalità, indivisibilità, interdipendenza e interrelazione di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali e la necessità da parte delle persone con disabilità di essere garantite nel loro pieno godimento senza discriminazioni”. 

Il Parlamento italiano ha autorizzato la ratifica della Convenzione Onu e del suo Protocollo opzionale con la legge n. 18 del 3 marzo 2008, istituendo contestualmente l’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità ed affidandogli il compito di promuovere l’attuazione della Convenzione ed elaborare un rapporto dettagliato sulle misure man mano adottate. L’allora ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, Maurizio Sacconi, commentò così l’adesione italiana alla Convenzione: “Il concetto di disabilità non indica più un assoluto della persona come in passato ma riguarda il rapporto tra la persona e il suo ambiente di riferimento. In tal senso, negli ultimi anni, soprattutto con l’avvento di nuove tecnologie, sono state abbattute numerose barriere riducendo il grado di disabilità, qualunque fosse il suo genere. Educazione e lavoro sono due ambiti particolari cui la Convenzione fa riferimento invitando a un impegno preciso istituzioni e società civile. Come per ogni persona, il percorso di istruzione e formazione e l’esperienza lavorativa rappresentano momenti essenziali anche per la vita di una persona disabile. E’ necessario pertanto sviluppare percorsi, servizi e tecnologie nuove che permettano di rispondere adeguatamente a tali necessità”. 

Il percorso normativo dell’Italia in materia di tutela dei diritti delle persone con disabilità è un percorso di lunga data, partito da principi puramente risarcitori, divenuti poi socio-assistenziali, elaborando successivamente il diritto dell’inclusione lavorativa fino ad arrivare al concepimento di prospettive culturali di accessibilità universale, di reale integrazione sociale e di realizzazione esistenziale, grazie ai fondamenti esposti nella Convenzione Onu. 

Disabilità e mondo del lavoro: gli interventi (cronostoria dei principali interventi normativi)

È stata la legge n. 482 del 1968 a rappresentare il caposaldo della normativa italiana a tutela del lavoro per le persone con disabilità. Questo provvedimento “disciplina l’assunzione obbligatoria presso le aziende private e le amministrazioni dello Stato, degli invalidi di guerra, militari e civili, degli invalidi per servizio, degli invalidi del lavoro, degli invalidi civili, dei ciechi, dei sordomuti, degli orfani e delle vedove dei caduti in guerra o per servizio o sul lavoro, degli ex-tubercolotici e dei profughi”. Un embrionale concetto di inclusione lavorativa, che prevedeva però alcune limitazioni:“non si applicano le disposizioni di cui alla presente legge nei confronti di coloro che abbiano superato il 55esimo anno di età, nonché nei confronti di coloro che abbiano perduto ogni capacità lavorativa o che, per la natura ed il grado della loro invalidità, possano riuscire di danno alla salute e alla incolumità dei compagni di lavoro o alla sicurezza degli impianti”. 

La legge n. 118 del 1971 ha segnato un passo in avanti in materia di acquisizione di diritti per le persone con disabilità, introducendo l’istituto dell’invalidità civile, che prevedeva l’erogazione di indennità di natura economica, a tutela di quei “ cittadini affetti da minorazioni congenite o acquisite, anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici per oligofrenie di carattere organico o dismetabolico, insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali che abbiano subito una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore a un terzo o, se minori di anni 18, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età”. Con il riconoscimento dell’invalidità civile arrivarono le principali forme di aiuto economico: l’indennità di accompagnamento (legge n. 18 del 1980), erogata direttamente al disabile, all’anziano ed al non autosufficiente, senza alcun limite di reddito, al fine di migliorare le sue condizioni di vita, insieme a diverse agevolazioni fiscali riguardanti: i figli a carico portatori di handicap, in funzione del reddito e del numero dei figli stessi; l’acquisto di veicoli, mezzi di ausilio, sussidi tecnici e informatici; le spese per i cani dei non vedenti e di interpretariato per i non udenti; le spese per le realizzazioni di interventi di abbattimento delle barriere architettoniche; le spese mediche e quelle per l’assistenza personale e domestica. Dal punto di vista sanitario, le persone disabili e non autosufficienti, potevano ricevere, a richiesta, dalle strutture presenti nel luogo dove vivono, varie tipologie di assistenza sanitaria (medico, infermieristico, protesico, psichiatrico). 

La legittimazione di alcuni bisogni essenziali per le persone con disabilità ha trovato la sua affermazione nella legge n. 104 del 1992 “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate” che ha introdotto un nuovo modello socio-assistenziale in riferimento alla capacità della persona con disabilità di espletare autonomamente (anche se con ausili) le attività fondamentali della vita quotidiana. Questo intervento di carattere assistenzialistico ha promosso l’integrazione sociale e la tutela dei diritti delle persone con disabilità e dei loro familiari, perseguendo la rimozione delle cause invalidanti e promovendo l’ottenimento di un principio di autonomia. Vengono inoltre individuati percorsi di prevenzione e di diagnosi prenatale, di cura e riabilitazione e favorita l’integrazione scolastica con il riconoscimento della figura dell’insegnante di sostegno e degli ausili scolastici, nonché l’inserimento della persona con disabilità nei corsi di formazione professionale dei centri pubblici e privati tenendo conto delle diverse capacità ed esigenze individuali. 

Ai lavoratori con disabilità ed ai loro familiari, vengono riconosciuti permessi retribuiti con lo scopo di cura ed assistenza del soggetto con disabilità; viene concesso un prolungamento fino a tre anni dell’astensione facoltativa e sancito il diritto di poter scegliere la sede di lavoro più vicina. Con la legge 104/92 viene ampliata la platea dei soggetti aventi diritto al collocamento obbligatorio, già disciplinato dalla legge n. 482 del 1968, estendendo tale diritto “anche a coloro che sono affetti da minorazione psichica” e specificando che ai fini dell’avviamento lavorativo, la valutazione della persona con disabilità debba avvenire tenendo conto della capacità lavorativa e relazionale dell’individuo e non solo della minorazione fisica o psichica. Si disciplinano le opere edilizie riguardanti edifici pubblici e privati aperti al pubblico per l’eliminazione o il superamento delle barriere architettoniche. 

Il diritto all’inclusione lavorativa per la persona con disabilità viene enunciato pienamente nella legge n. 68 del 1999 “Norme del diritto al lavoro dei disabili”. Nell’art. 1 viene espressa con chiarezza la motivazione dell’impellenza normativa “la presente legge ha come finalità la promozione dell’inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato”, definendo nel successivo articolo il collocamento mirato dei disabili da intendersi come “quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione”. Con questo nuovo intervento normativo vengono indicate le quote di riserva per le assunzioni obbligatorie di persone con disabilità a cui devono adempiere i vari soggetti sia pubblici che privati; sono individuate le funzioni degli “uffici competenti”, organismi individuati dalle regioni, che devono provvedere “in raccordo con i servizi sociali, sanitari, educativi e formativi del territorio, alla programmazione, all’attuazione, alla verifica degli interventi volti a favorire l’inserimento dei soggetti di cui alla presente legge nonché all’avviamento lavorativo, alla tenuta delle liste, al rilascio delle autorizzazioni, degli esoneri e delle compensazioni territoriali, alla stipula delle convenzioni e all’attuazione del collocamento mirato”. Sono esposte le modalità di avviamento al lavoro, le convenzioni e gli incentivi e le agevolazioni per le assunzioni. 

Un punto di svolta si è avuto con l’adesione italiana alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 2006, che ha promosso un nuovo modello di riferimento per le politiche in materia di disabilità, ponendo all’attenzione il tema centrale dell’uguaglianza dei diritti e delle pari opportunità, imponendo agli Stati un riorientamento delle proprie azioni legislative, indirizzandole verso la rimozione delle barriere fisiche e sociali che impediscono la partecipazione di tali persone a tutti gli aspetti della vita sociale, economica, culturale, al fine di realizzare e qualificare il loro progetto esistenziale. Attraverso la Convenzione Onu si è andato affermando il cosiddetto “progetto sociale della disabilità”, per il quale la disabilità diviene un concetto relativo, dinamico e complesso, poiché dipende da varie dimensioni individuali, organizzative e sociali e che si pone come obiettivo il miglioramento della qualità di vita della persona con disabilità. Con la ratifica della Convenzione Onu, viene prevista l’istituzione di un Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità (Ond), con lo scopo di promuovere l’attuazione della Convenzione stessa e l’elaborazione di linee guida e rapporti dettagliati sulle misure adottate. 

Con il Decreto del Presidente della Repubblica del 4 ottobre 2013 l’Italia ha così adottato il primo “Programma d’Azione Biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità”, frutto del lavoro dell’Ond, che ha aperto le porte ad un nuovo scenario di riferimento politico e programmatico sul tema. La condizione di disabilità viene rappresentata nella sua interezza e per il suo valore, non solo come un problema assistenziale confinato entro il perimetro delle politiche di “welfare”, ma come un imprescindibile ambito di tutela dei diritti che investe la politica e l’amministrazione in tutte le sue articolazioni, nazionali, regionali e locali. Il quadro di riferimento legislativo delineato fino ad ora, parzialmente rappresentativo dei principali provvedimenti in materia di disabilità, nel tempo si è arricchito di ulteriori disposizioni a corollario ed integrazione. Così il decreto legge n.151 del 2015 è intervenuto apportando modifiche alla norma n. 68 del 1999 e, pur mantenendo la struttura di base dell’impianto normativo, ha previsto la predisposizione di linee guida per il collocamento mirato, la revisione degli incentivi all’assunzione, l’istituzione di una specifica banca dati nazionale dedicata al collocamento mirato, l’incremento delle competenze del Fondo regionale per l’occupazione dei disabili e la modifica della disciplina che riguarda i soggetti obbligati agli adempimenti di cui alla legge 68/99 così come della disciplina del Fondo per il diritto al lavoro dei disabili. 

Il diritto alla mobilità

Dal Rapporto Istat sul mondo della disabilità del 2019 è stato stimato che oltre 600 mila persone con limitazioni gravi vivono in una situazione di grande isolamento, senza alcuna rete su cui poter contare in caso di bisogno e di queste, ben 204 mila vivono completamente sole. La limitazione grave costituisce un ostacolo alla partecipazione sociale, culturale e lavorativa che viene moltiplicata dai quotidiani problemi di accessibilità che riducono la libertà alla mobilità per le persone con disabilità. L’art. 9 della Convenzione Onu, trattando il tema dell’accessibilità stabilisce che “al fine di consentire alle persone con disabilità di vivere in maniera indipendente e di partecipare pienamente a tutti gli ambiti della vita, gli Stati Parti devono prendere misure appropriate per assicurare alle persone con disabilità, su base di eguaglianza con gli altri, l’accesso all’ambiente fisico, ai trasporti, all’informazione e alla comunicazione, compresi i sistemi e le tecnologie di informazione e comunicazione, e ad altre attrezzature e servizi aperti o offerti al pubblico, sia nelle aree urbane che nelle aree rurali. Queste misure, che includono l’identificazione e l’eliminazione di ostacoli e barriere all’accessibilità, si applicheranno, tra l’altro a: edifici, strade, trasporti e altre attrezzature interne ed esterne agli edifici, compresi scuole, alloggi, strutture sanitarie e luoghi di lavoro; ai servizi di informazione, comunicazione e altri, compresi i servizi elettronici e quelli di emergenza”. L’abbattimento delle barriere architettoniche è un tema centrale all’interno del dibattito sul diritto all’autonomia ed alla autorealizzazione delle persone con disabilità, regolato da una struttura normativa che si è articolata in diversi provvedimenti legislativi emanati nel corso degli anni. 

La legge n. 13 del 1989 sancisce le “Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati” dove vengono delineati i criteri di progettazione relativi alla costruzione di nuovi edifici o alla loro ristrutturazione totale al fine di garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica. Di qualche mese dopo, il Decreto ministeriale n. 236 del 1989, attuativo della legge 13/89 che ne esplicita le prescrizioni tecniche, specificando ciò che è da intendersi con la dicitura “barriere architettoniche”. L’eliminazione o il superamento delle barriere architettoniche viene affrontato anche nell’art. 24 della legge n. 104 del 1992 che stabilisce che il rilascio delle concessioni edilizie da parte dei comuni sia vincolato al rispetto della normativa in materia di barriere e che siano dichiarate inagibili ed inabitabili (con sanzioni per gli inadempienti) le opere realizzate in edifici pubblici o aperti al pubblico non accessibili per le persone con disabilità. Ritorna sull’argomento, il Decreto del Presidente della Repubblica n. 503 del 1996 denominato “Regolamento recante norme per l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici, spazi e servizi pubblici”, con la definizione “degli impedimenti comunemente chiamati barriere architettoniche” e ponendo l’attenzione anche agli spazi pedonali, ai marciapiedi, agli attraversamenti pedonali. 

Con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” viene infine raccolto ed organizzato quanto previsto dalla normativa precedente in materia di abbattimento barriere architettoniche. Di recente concezione, ancora una volta delineata nella Convenzione Onu, la prospettiva culturale della progettazione universale definita come “la progettazione (e realizzazione) di prodotti, ambienti, programmi e servizi utilizzabili da tutte le persone, nella misura più estesa possibile, senza il bisogno di adattamenti o di progettazioni specializzate. La progettazione universale non esclude dispositivi di ausilio per particolari gruppi di persone con disabilità ove siano necessari”. Il passo dalla progettazione universale a quello dell’accessibilità universale, sinonimo di inclusività ed uguaglianza è, in teoria, breve. 

 

 

 

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