Si chiama “festa della donna” impropriamente. Dovremmo, piuttosto, parlare di uno spazio di riflessione e di approfondimento su un percorso iniziato tanto tanto tempo fa da riportare al presente, anzi con uno sguardo al futuro.
La giornata dell’8 marzo ci insegna proprio questo: è stata una battaglia iniziata dalle donne ai primi del Novecento proprio con l’episodio del famoso incendio della fabbrica a New York in cui morirono tante donne perché volevano uscire fuori per protestare, erano stati chiusi i cancelli della fabbrica dai datori di lavoro e scoppiò, casualmente, questo incendio in cui purtroppo persero la vita queste donne. L’inizio dovrebbe essere questo; qualcuno dice che è vero, altri che non è vero. Non importa. Ha comunque un carattere fortemente simbolico questa storia, che ci parla di una voglia e consapevolezza piano piano, è emersa la voglia di divenire visibili, il diritto di chiedere di esserci a livello umano, sociale, politico ed economico. È stato un tran tran dagli inizi del Novecento fino al 1922, quando poi si è deciso di fare di proclamare questa giornata “della donna” che, poi in realtà diventerà 8 marzo nel 1977.
Sono state piccole tappe, io dico piccoli fuocherelli accesi in varie parti del mondo che hanno raccontato una presa di coscienza della donna, il combattere per dei diritti sacrosanti che certamente hanno lasciato indietro anche tanta sofferenza, tante persone che non ce l’hanno fatta, che però hanno portato ad una vittoria. Questa giornata deve essere un momento di riflessione perché frutto di quella battaglia. Il discorso evolutivo e personale è anche collettivo, e quando diviene collettivo, nel senso che più persone si riuniscono in un progetto e combattono per lo stesso progetto, si crea in un gruppo un’energia particolarissima che è un’implosione, che ha la capacità di passare ad altre persone anche lontanissime nel mondo. In questo ci viene in aiuto la fisica quantistica che ci spiega quello che succede a livello di particelle subatomiche che riescono istantaneamente a comunicare tra di loro in luoghi lontanissimi. Quando un gruppo raggiunge un certo numero di persone consapevoli rispetto ad un evento questo è quello che accade, l’evento si espande, anche in altri paesi, diventa una progettualità comune. E per la donna in prima persona e come collettivo questo cosa ha significato? Questa rinnovata consapevolezza va a rinforzare l’Io della donna, la sua autostima, la sua fiducia, è come iniziare a mettere dei mattoncini. “Io ci sono, io sono visibile, posso fare delle richieste e posso avere anche delle risposte”. Da lì si parte fino ad arrivare ad oggi, il nostro presente dove si parla di “resilienza”. Che cos’è questa parolina, oggi tanto usata, forse anche abusata, sbucata fuori così? Proviamo a darle un significato dalle scienze ingegneristiche che danno una spiegazione semplice è chiara: è un materiale che in seguito ad un urto riesce a non spezzarsi, ad assorbire quell’urto. A livello psicologico cos’è la resilienza? É la capacità di affrontare situazioni di grande sofferenze, di grandi dolori, di grande devastazione (pensiamo alle guerre, pensiamo la nostra guerra in questo momento) e riuscirne a venire fuori indenni, non devastati e paradossalmente, in alcuni casi, meglio.
La resilienza è una peculiarità dell’essere umano ma nella donna è una forza incredibile. Gli ultimi studi lo confermano: la resilienza come capacità plastica, flessibile, di assorbire e contenere, elaborare e trasformare, contenere è donna. Se noi la portiamo nel nostro presente, dall’anno scorso ad oggi abbiamo affrontato una guerra da tantissimi punti di vista. Se noi pensiamo a quello che stiamo attraversando rispetto ai problemi di salute, di fronte ai quali ci siamo trovati senza figure di riferimento e senza nessun contenimento, il mondo scientifico brancolava nel buio, per un nemico invisibile e potente, una situazione di una portata emozionale immane che abbiamo affrontato e stiamo affrontando adesso. Le nostre abitudini sono cambiate, le nostre comunicazioni si sono ribaltate, non abbiamo più avuto contatti, le scuole sono state chiuse, i bambini ed i ragazzi si sono trovati a casa.
E ad occuparsi delle persone anziane, dei disabili, della famiglia ci ha pensato la donna. Per non parlare dal punto di vista economico: posti di lavoro perduti, le attività chiuse, persone che si sono dovute reinventare un lavoro, uomini e donne. Ma il peso più grande lo ha portato la donna, che si è mostrata nella sua capacità di affrontare dolore, di assorbire e sostenere e supportare i familiari, la capacità di contenere le dinamiche familiari, nella capacità di reinventarsi da punto di vista lavorativo. Cosa ci insegna quest’ultimo anno, come i primi del Novecento? Ci rendiamo conto del potenziale incredibile che ha la donna, della ricchezza che ha e che può mettere al suo servizio, al servizio degli affetti, della società, solo che la donna molto spesso non ne è consapevole. Aldilà del Covid-19 che dobbiamo affrontare, nella nostra realtà, purtroppo, c’è la violenza, che dovrebbe andare a sparire con la presa di consapevolezza prima di tutto della donna (tralasciando per un attimo l’uomo, il mostro, lo psicopatico, le condanne). In che modo ? Amandosi di più, occupandosi di se stessa, rispettandosi di più, entrando in contatto con la parte più intima. La donna ha una capacità emozionale, una sensibilità ed un intuito incredibili, se entra in comunicazione con se stessa è capace di vedere con chi si relaziona e con chi si accompagna, le dinamiche dei rapporti.
Una situazione non esplode mai in un momento, tutto ci parla, il futuro è già nel presente, basta aprire gli occhi ed osservare un po’ meglio. Bisogna portare più attenzione al proprio essere, mettersi al centro, non come egoismo, ma come capacità di occuparsi di se stessa, di darsi importanza, di non cercare nell’altro quello che si ha già dentro.
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