Istat, previsione coltivazioni: buone prospettive per il frumento duro

Contro il trend negativo segnato negli ultimi anni del numero di superfici coltivate nel nostro Paese, i dati previsionali segnano un rialzo positivo dell’1,6% per le superfici agricole destinate alla coltivazione cerealicole. A fotografare la lo stato delle coltivazioni agricole nostrane è stata l’Istat nel suo rapporto “Annata agraria 2019-2020 e previsioni 2020-2021” dal quale emerge che nonostante gli ultimi periodi siano stati caratterizzati da continue flessioni dovute soprattutto alle basse quotazioni dei prezzi, il 2020 è stato un anno di svolta soprattutto per il frumento duro contraddistinto da una crescita della domanda anche all’estero, non controbilanciata però da un’adeguata offerta, con la conseguente impennata dei prezzi. Secondo l’Istat, sono in crescita le previsioni del frumento duro per l’annata agraria 2020-2021, indicando una previsione di crescita dell’1,6%, rispetto all’annata precedente, della superficie agricola destinata alla coltivazione di cereali. Proprio al frumento duro è riconducibile la previsione più elevata di incremento di superficie coltivata, che copre la quota più alta fra tutti i cereali (40,3% nel 2020): le aziende agricole intervistate prevedono un incremento della superficie coltivata significativo, pari al 5,6%, tra il 2021 e il 2020. 

Anche per il mais si prevede un cambio di tendenza rispetto agli ultimi anni e, per l’annata agraria 20202021 un seppur lieve aumento delle superfici coltivate, probabilmente riconducibile al ruolo importante di tale coltura nell’ambito delle filiere della zootecnia e della bioindustria e che ha condotto nel febbraio dello scorso anno all’approvazione e alla redazione, da parte della la Conferenza stato regioni, di un Piano Nazionale a sostegno del settore del mais per il periodo 2019-2022, finalizzato a ristabilire il livello di autoapprovvigionamento della produzione nazionale basandosi su tre principali azioni: orientamento al mercato, recupero di efficienza e interventi mirati su Pac (Politica Agricola Comune) e Psr (Piani di Sviluppo Rurale). Per l’orzo si prevede invece una riduzione della superficie pari al 7,7%, per il frumento tenero dell’1,6%. In chiave territoriale, si prevede un aumento della superficie desti nata a frumento duro in tutte le ripartizioni geografiche. Nel dettaglio, è il Nord che mostra le tendenze in aumento più evidenti. In particolare, per le superfici destinate a frumento duro, nel Nord ovest è previsto un incremento del 15,2% e nel Nord est di ben il 24,7%, quota su cui incide la produzione dell’Emilia Romagna destinata a soddisfare le richieste del settore pastario. Per il frumento tenero, si prevede una riduzione della superficie coltivata pari su scala nazionale all’1,6%, risultato della contrazione di 10,8 punti percentuali registrata per la ripartizione Nord est (dove si trova circa il 47% delle superfici nazionali di coltivazione del cereale) e della previsione di incremento del 14,4% del Nord ovest. La contrazione prevista per le superfici coltivate a orzo caratterizza tutte le ripartizioni geografiche, con picchi nel Centro (-11,7%) e nel Nord est (-11,5%). 

Nel confronto tra il 2010 e il 2020, emergono decisi cambiamenti fra le varietà cerealicole, soprattutto nelle coltivazioni del frumento duro e del mais. Il frumento duro, infatti, aumenta la sua incidenza sul complesso delle superfici cerealicole, passando dal 36,9% del 2010 al 40,3% del 2020. La coltivazione del mais, al contrario, incide sempre meno sul totale dei cereali: passa dal 26,7% al 20,1%. Un discreto incremento caratterizza anche il frumento tenero (dal 15,8% del 2010 al 16,7% del 2020) e l’orzo (dal 7,8% all’8,8%). Non si registrano, invece, variazioni significative per i restanti cereali, alcuni dei quali mantengono incidenze simili a quelli di 10 anni fa. 

La Puglia è la regione che registra la maggior superficie investita in frumento duro: nel 2020, 344.300 ettari, conto i 283.870 ettari nel 2010, anno in cui la Sicilia deteneva il primato della superficie (301.821 ettari). La crescente propensione a investire nella coltivazione di frumento duro può essere ricondotta all’aumento dei prezzi dovuto, a livello sia nazionale sia mondiale, alla scarsità dell’offerta rispetto alla domanda. Questa tendenza sembra confermata anche nelle previsioni di semina per l’annata agraria 2020-2021. Per quanto riguarda il mais, invece, risultano significative le riduzioni di superficie in Lombardia (da 221mila ettari nel 2010 a 137mila ettari nel 2020) e nel Veneto (da 229mila ettari a 154mila ettari). In dieci anni, a livello nazionale, il calo della superficie a mais è del 35% (da 927mila ettari a 603mila ettari). Nonostante il mais rappresenti la prima coltura cerealicola nazionale in termini di produzione e per livello di resa produttiva per ettaro, il settore maidicolo ha perso progressivamente competitività a causa di una serie di criticità convergenti: la contrazione dei prezzi, gli elevati costi fissi e il maggiore rischio sanitario a cui sono esposte tali colture che incide anche sulla componente variabile dei costi. 

Il rapporto Istat poi si concentra sugli effetti del Covid19 sul settore. La crisi dovuta all’emergenza sanitaria, come detto, ha avuto effetti differenziati sui diversi settori dell’economia. I dati di fatturazione elettronica denotano, per il 2020, un andamento relativamente positivo per il settore primario: tra gli effetti della pandemia dichiarati, sono segnalati soprattutto la “Riduzione dei prezzi di vendita del proprio prodotto” (17,8%) e la “Riduzione della domanda” (17,4%). 

Secondo l’Istat, la crisi non sembra avere impatto sulle superfici coltivate né sulle produzioni raccolte. Il 2020 è stato caratterizzato da un surplus di offerta di beni primari cerealicoli rispetto alla domanda, animato da una riduzione dei prezzi di vendita. A livello territoriale, la percentuale di aziende che dichiarano di non prevedere alcun impatto sui propri risultati aziendali è lievemente più bassa nel Nord ovest (39,9%) rispetto alle altre aree, in cui la percentuale supera sempre il 42%, con il picco del 48,5% nel Centro. Anche con riferimento agli effetti della pandemia per l’annata agraria in corso 2020-2021, la risposta più frequente è “nessun impatto” nel 42,8% dei casi (va tuttavia ricordato che il questionario è stato somministrato tra l’inizio di novembre 2020 e l’inizio di gennaio 2021). Tra i rispondenti che invece indicano conseguenze, emerge il timore circa la riduzione della domanda (18,0%), poiché si ritiene che non sia possibile tornare alla situazione antecedente alla pandemia (9,5%) e si profilano sia aumenti dei costi di produzione (7,5%) sia la mancanza di liquidità per fare fronte alle spese correnti (6,9%). A livello territoriale vengono confermate le tendenze mostrate a livello nazionale. In tutte le ripartizioni, infatti, oltre il 42% delle aziende dichiara di non prevedere alcun impatto per l’annata agraria 20202021, fatta eccezione per il Nord ovest, in cui la percentuale è del 39,9%. 

 

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