Infoimpresa dedica questo numero di aprile 2021 alla parità di genere, con una particolare attenzione al mondo del lavoro. Se ne parla tanto, ma mai abbastanza. E soprattutto si fa poco.
Indubbiamente l’atteggiamento collettivo verso l’uguaglianza tra i generi sta maturando ed evolvendo con il passare degli anni, principalmente nel mondo occidentale. Tuttavia certi stereotipi sono duri a morire. È innegabile il permanere di disparità tra donne e uomini anche nel mondo del lavoro e purtroppo le nuove generazioni, benché più aperte delle precedenti, non sono immuni da preconcetti verso “le diversità”, includendo tra queste anche le persone con orientamenti sessuali differenti da quelli tradizionali, benché di lunga storicizzazione (si pensi ai meravigliosi esempi tramandatici dalla letteratura della Grecia antica).
Le aree nelle quali è necessario garantire pari diritti sono molteplici. Nell’ambito del lavoro, si registra innanzitutto una prevalenza maschile nelle professionalità di vertice, benché siano stati compiuti grandi passi in avanti negli ultimi decenni. È indubbio che le donne siano meno rappresentate nelle posizioni direttive in diversi settori: si pensi alla politica, ma anche all’economia, persino nella scienza e nella ricerca. In Europa soltanto il 7,5 per cento dei presidenti dei consigli di amministrazione e il 7,7 per cento degli amministratori delegati in Europa sono donne. E l’Italia non brilla certo rispetto ai Paesi nordici. Resta poi indubbiamente un divario retributivo di genere, a cui si sommano problematiche di mobbing, disparità nei processi decisionali, fino alla violenza psicologica, che in alcuni casi sfocia in quella fisica.
I dati ufficiali sono emblematici. Nell’Unione europea, le donne guadagnano in media il 16 per cento in meno rispetto agli uomini, con differenze significative tra i vari Paesi. A questo fenomeno è collegato il difficile equilibrio tra la vita professionale e quella privata, per cui il part time è pratica principalmente femminile.
Del resto le disuguaglianze di genere persistono già nella fase dell’istruzione, in particolare in termini di preferenze di studio. Come ricordano i documenti di Bruxelles, “le donne hanno maggiori probabilità di avere un diploma di istruzione superiore, ma continuano a essere sovrarappresentate in settori di studio legati a ruoli femminili tradizionali, come quelli connessi all’assistenza, e sottorappresentate in quelli della scienza e dell’ingegneria”. C’è poi il drammatico capitolo delle violenze: pur prevalendo quella domestica (tre su quattro), il lavoro non ne è esente. La Commissione europea ha posto la parità di genere in cima alla sua agenda politica e ha adottato un’ambiziosa strategia per la parità di genere (2020-2025) volta a raggiungere un’Europa in cui la parità sia la regola. Alcuni Paesi, come la Svizzera, la Germania e l’Austria, utilizzano strumenti innovativi come i calcolatori del divario salariale, per sensibilizzare i cittadini sulle questioni relative alla parità di genere nel lavoro. Non dimentichiamo che almeno una volta nella vita, tre donne su dieci in tutto il mondo hanno subito violenza, fisica o psicologica. In molte società ciò è considerato un fatto socialmente accettabile. Del resto è sufficiente assistere in tv, ad esempio su Rai Storia, ad uno di quei filmati d’epoca in bianco e nero girati negli anni Sessanta per rendersi conto che anche in Italia la situazione di arretratezza in tal senso era molto diffusa. E ancora oggi la drammatica pratica del femminicidio dimostra come occorra fare enormi passi avanti. In tutto il mondo centinaia di milioni di bambine sono a rischio matrimonio forzato, come denuncia da anni il Who.
Un altro fenomeno di cui si parla poco è la mutilazione genitale femminile, enorme violazione dei diritti umani, ancora molto praticate in Africa, in Medio Oriente e in Asia. Con le migrazioni, tra l’altro, si è ormai diffuso in tutto il mondo. Benché scritta negli anni Quaranta, non dimentichiamo che la nostra Costituzione, in svariati articoli, si occupa della tutela delle donna. L’articolo 3 recita che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Pertanto l’appartenenza al genere femminile non deve essere fonte di discriminazione né davanti alla legge, né in termini di dignità sociale. La Costituzione pone attenzione anche alla famiglia, asserendo che “il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”. Inoltre si adopera per la protezione della maternità. L’articolo 37 del dettato costituzionale entra nel mondo del lavoro e recita: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”. La modernità della nostra Carta è lampante e la sua applicazione deve costituire un punto essenziale nell’agenda di tutti i governi. La norma costituzionale evidenzia sia il sacrosanto principio della parità tra la donna e l’uomo, sia contempla il duplice ruolo di lavoratrice e madre/moglie.
In questo numero della nostra rivista ci limitiamo ad approfondire la parità del genere sul lavoro, benché personalmente abbia voluto ricordare altre gravi penalizzazioni per l’universo femminile.
Nelle prossime pagine ospitiamo anche gli interventi delle donne che hanno partecipato all’interessante webinar “La resilienza delle donne ai tempi del Covid-19”, promosso dalla sede Unsic di Cosenza in occasione dell’8 marzo.
TRATTO DA: