Il miele la fa da padrona sulla tavola delle famiglie italiane. A fotografare l’andamento del comparto è il report Tendenze, stilato da Ismea, che evidenzia come fattore trainante la maggiore attenzione alla salute in un’epoca di emergenza sanitaria e la più lunga permanenza tra le mura di casa. È una vera è propria inversione di tendenza, come sottolinea l’Ismea, che interessa interamente le dinamiche del comparto, sia rispetto alla flessione degli acquisti dell’ultimo biennio sia al ruolo trainante fin qui esercitato degli over 50, di reddito medio alto, a cui si devono normalmente oltre il 70% degli acquisti di miele.
Gradando i numeri, si evince come dal 2015 al 2019 la spesa per gli acquisti domestici di miele è cresciuta dell’8,8 per cento a fronte di un incremento del 4 per cento dei volumi. Tuttavia si registra un saldo tra un triennio di risultati estremamente positivi (dal 2015 al 2017 incremento dei volumi dell’11 per cento e della spesa del 13 per cento), e il ripiegamento accusato nel biennio 2018 e 2019. In relazione a quest’ultimo indicatore va sottolineato che il miele ha un indice di penetrazione, (ossia un rapporto tra famiglie acquirenti e universo delle famiglie) ancora molto basso, che dal 36 del 2017 scende al 33 per cento nel 2019, indicando che solo una famiglia su tre consuma miele nel corso dell’anno. Nel 2020 gli acquisti di miele presentano una sostanziale inversione di tendenza con un recupero delle vendite a volume del 13 per cento nei primi nove mesi che, se mantenuto, potrebbe riportare il risultato a fine anno su livelli pre-crisi. In relazione al prezzo medio al consumo si registra una graduale crescita nel corso degli anni che trova riscontro anche nei dati parziali del 2020 (+1,4 per cento sul 2019 dopo il +1,7 per cento di questo sul 2018).
Se si guardano le tendenze a livello territoriale, si nota una nuova inversione di tendenza: se nel quinquennio 2015-2019 si rileva una forte espansione della spesa nelle aree del Centro Nord, con il Nord Est che segna nel 2019 un incremento del 12,5 per cento sul 2015, nei primi nove mesi del 2020 il Sud è, invece, la macroarea che registra la miglior performance con incrementi a doppia cifra, sia in termini di spesa che di volume (rispettivamente +23 e 24 per cento), seguita dal Nord Est anche essa con incrementi superiori al 20% sia in valore che in volume; più attenuata, ma discreta, la crescita dei volumi acquistati al Centro (+7,1 per cento) e al Nord Ovest (+6,4 per cento). Cambiano anche le tipologie di acquirenti. Nel periodo di lockdown, infatti, dove si è accentua l’attenzione del consumatore agli aspetti della salute e il miele viene considerato un prodotto salutistico, i consumi sono cresciuti del 13 per cento acquistando appeal soprattutto tra i giovani e i giovanissimi: “Sono quelle che Nielsen – si legge nel rapporto classifica come le “nuove famiglie” e le famiglie con figli adolescenti a far registrare le migliori performance, con incrementi degli acquisti in volume rispettivamente del 56 per cento del 32 per cento”. Si ribalta così quel quadro che vedeva, nel quinquennio 2015-2019, le famiglie con componenti di età adulta e avanzata a trainare i consumi (circa il 70 per cento) e tutti gli incrementi di acquisto erano inoltre da ascriversi esclusivamente alle famiglie con reddito alto (+18 per cento a fronte di una flessione del 2,4 per cento di quelle a reddito basso).
Guardando ai numeri del mercato, lo scorso anno circa il 60% di prodotto disponibile è stato di provenienza estera, a fronte di una produzione nazionale in forte ridimensionamento. Per il 2020 le stime Ismea-Osservatorio miele indicano un recupero del 13 per cento sull’anno precedente con una produzione che dovrebbe portarsi a 17 mila tonnellate. Si tratta comunque di un livello molto al di sotto della capacità produttiva nazionale, che conta oltre un milione e 600 mila alveari, in aumento del 7,5 per cento su base annua. L’Italia è il quarto paese europeo per numero di alveari (1,6 milioni), dopo Spagna (3 milioni di alveari), Romania e Polonia (rispettivamente 2 e 1,7 milioni di alveari), con una consistenza in aumento del 7,5% nel 2019 rispetto all’anno precedente: “La produzione italiana di miele rilevata dall’Istat – continua il rapporto è poco meno di 8 mila tonnellate per un valore di oltre 64 milioni di euro, ma va considerato che l’Istat prende in considerazione l’apicoltura unicamente in occasione dei censimenti generali dell’agricoltura che, non essendo concepiti per stabilire la consistenza degli allevamenti apistici, rilevano esclusivamente parte degli allevamenti strutturati nel settore agricolo, laddove questi coincidano con la disponibilità di terreno. Rimangono pertanto esclusi i numerosi apicoltori, che a prescindere dalla loro connotazione professionale, non associano l’apicoltura ad un’attività agricola ma che pure, nel mantenere in vita le api, nei più disparati ambienti naturali o agricoli, assicurano di fatto una indispensabile e capillare impollinazione”. L’effettiva produzione italiana di miele, secondo le stime Ismea-Osservatorio Nazionale Miele, per l’anno 2019 si attestano su circa 15 mila tonnellate, contro una produzione nazionale attesa di 23 mila tonnellate.
Come detto prima, si stima una produzione di circa 17 mila tonnellate per il 2020, lievemente al di sopra rispetto al 2019, ma resta comunque ben al di sotto della potenzialità produttiva, se si considera anche l’incremento del numero di alveari nel 2020: “L’introduzione della Banca Dati Apistica, alla quale tutti gli apicoltori devono essere obbligatoriamente registrati dichiarando gli alveari detenuti e la loro posizione geografica, ha consentito – sottolinea Ismea di validare le stime scaturite negli anni riguardo alla consistenza degli apicoltori e degli alveari italiani, evidenziando un elevato numero di apicoltori ed alveari e un numero di apicoltori con partita IVA più alto del previsto”. La produzione di miele proviene da oltre 1,66 milioni di alveari, di cui circa 783 mila stanziali e 657 mila nomadi; una piccola quota residua è poi rappresentata da alveari non meglio classificati. Il 74 per cento degli alveari totali (1.232.831), sono gestiti da apicoltori commerciali che allevano le api per professione. La grande prevalenza di alveari detenuti da apicoltori con partita iva sottolinea l’elevata professionalità del settore e l’importanza del comparto nel contesto agro-economico.
Nel 2019 sono oltre 187 mila gli alveari che producono miele biologico, mentre 1,39 milioni di alveari producono miele convenzionale. Nei primi 6 mesi del 2020 sono saliti rispettivamente a 208 mila e a 1,45 milioni. Guardando i numeri della produzione regionale a farla da padrona è il Piemonte, con oltre 5 mila tonnellate stimate, seguita da Toscana con oltre 3 mila tonnellate e da Emilia-Romagna con oltre 2 mila tonnellate. Dai dati produttivi medi stimati per regione è emersa una resa media per alveare, per le aziende professioniste che praticano nomadismo, di circa 13 kg/alveare per le regioni del Nord e del Centro e circa 25 kg/alveare per le regioni del Sud e delle Isole, da cui risulta una resa media a livello nazionale di circa 18 kg/alveare.
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