I giovani puntano all’ambiente. La tematica a cui tengono maggiormente all’interno del “Recovery Plan” (non a caso denominato ufficialmente “Next Generation Eu”) è la cosiddetta “transizione ecologica”, cioè gli investimenti per la crescita della sostenibilità ambientale. Una scelta di campo, drastica, per un futuro migliore. Ma anche la digitalizzazione è un tema caro alle nuove generazioni. Non a caso queste due materie sono quelle più conformi agli obiettivi indicati dall’Unione europea.
C’è grande attesa per l’arrivo della pioggia di fondi previsti da Bruxelles per i Paesi membri. Si tratta di una sorta di nuovo Piano Marshall. Qualcuno l’ha definito “un calcio di rigore che non possiamo sbagliare”. Anche perché il quadro in cui arriveranno le risorse è impietoso. La pandemia ha accentuato le crisi. Oltre a quella sanitaria, che equivale ad un’ecatombe di vite umane e di sofferenze, c’è quella economica e sociale che l’Unione europea prova ad alleviare immettendo nuova e ingente liquidità finalizzata alla ripartenza. Si tratta, per molti analisti, di un ultimo “giro di giostra” per il nostro Paese attualmente tenuto in piedi dalla Banca centrale europea. Anche perché due terzi delle risorse a prestito andranno restituite proprio dalle nuove generazioni negli anni Cinquanta di questo secolo. Oltre al dover affrontare il già colossale fardello del debito pubblico appesantito nell’infausto 2020 dagli oltre cento miliardi, soprattutto in ristori, distribuiti o investiti dal governo.
La questione centrale è come saranno spesi i miliardi del Recovery Fund, i più da impegnare subito, gli altri distribuiti negli anni a seguire fino al 2016. Si tratta, nel dettaglio, di 222,9 miliardi di euro complessivi, incluse le risorse del “vecchio” Fondo di sviluppo e coesione, circa 20 miliardi, e quelle del fondo React Eu (13 miliardi). Aggiungendo i soldi della programmazione di bilancio 2021-26, il totale sale a 310 miliardi.
Una montagna di soldi che dovrebbe servire soprattutto per spingere la crescita e modernizzare il Paese. Quindi la logica da adottare dovrebbe essere quella di concentrare le risorse su settori strategici e non di distribuire “mance” a pioggia, come sempre avviene con le leggi di bilancio.
I piani, come noto, saranno presentati formalmente dai Paesi europei dagli ultimi giorni di febbraio fino ad aprile incluso, per dare alla Commissione due mesi di tempo per approvarli. Poi ci sarà un altro mese per il via libera del Consiglio europeo. L’esborso dei prefinanziamenti il 13 per cento del totale, quindi già quasi una trentina di miliardi per l’Italia – dovrebbe avvenire in estate a condizione che siano state intanto completate le ratifiche nazionali dell’aumento delle risorse proprie del bilancio comunitario.
Ma cosa prevedono, nel disegno generale, le 171 pagine dell’ultima bozza del piano italiano, rimodulata dal ministro dell’Economia Gualtieri ad inizio gennaio, per accedere ai finanziamenti europei?
L’impianto del piano si articola in sei aree di investimento:
1) rivoluzione verde e transizione ecologica (68,9 miliardi);
2) digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura (46,1 miliardi);
3) infrastrutture per una mobilità sostenibile (31,9 miliardi);
4) istruzione e ricerca (28,4 miliardi); 5) inclusione e sociale (27,6 miliardi); 6) salute (19,7 miliardi).
Tali “missioni” a loro volta raggruppano 16 componenti funzionali per realizzare gli obiettivi.
Quindi la transizione verde e la trasformazione digitale sono le due aree di intervento più importanti, in conformità agli obiettivi indicati dall’Unione europea. E qui il ruolo dei giovani potrebbe essere strategico sia perché si tratta di temi particolarmente sentiti dalle nuove generazioni, sia perché potrebbero essere proprio gli “uomini del domani” i gestori del cambiamento. Ad esempio, con l’innovazione e la digitalizzazione della pubblica amministrazione si spera in un processo di “svecchiamento” del nostro apparato pubblico. Analogamente con gli altri interventi legati alle nuove tecnologie, come la reingegnerizzazione dei procedimenti amministrativi, lo sviluppo di infrastrutture e servizi digitali (i.e. clouding e data center), il completamento della fibra ottica, lo sviluppo del 5G, la digitalizzazione delle filiere strategiche come quelle di eccellenza, la neutralizzazione del digital divide, la transizione x.0 del sistema imprese, l’investimento in ricerca e sviluppo.
Sul fronte delle riforme verdi, a livello europeo ci si aspetta interventi sull’idrogeno, sulla decarbonizzazione, sui veicoli puliti e sulla riqualificazione degli edifici. Importanti, per quanto riguarda i giovani, anche le risorse per l’istruzione. Nel “Recovery” sulla scuola ci sono oltre 27 miliardi, considerando tutti i fondi europei. Ma occorrerà porre attenzione su come verranno spesi, specie dopo i quasi 500 milioni investiti in questo anno scolastico per gli ormai famosi “banchetti”. Resta inoltre il nodo della governance: nel testo le righe sono poche e vaghe. “Il governo, sulla base delle linee guida europee per l’attuazione del piano si legge presenterà al parlamento un modello di governance che identifichi la responsabilità della realizzazione del piano, garantisca il coordinamento con i ministri competenti a livello nazionale e gli altri livelli di governo, monitori i progressi di avanzamento della spesa”. Un’altra area che vede il passaggio generazionale e un interesse sempre maggiore da parte dei giovani è quella dell’agricoltura. Il piano prevede di “rendere la filiera agroalimentare sostenibile, preservandone la competitività. Implementare pienamente il paradigma dell’economia circolare”.
Altro capitolo basilare è quello delle politiche attive. Qui si aspettano riforme finalizzate ad aumentare il tasso di occupazione, ridurre il lavoro sommerso e incentivare l’occupazione delle donne e dei giovani. Restano sul tappeto alcune questioni di carattere generale, come evidenziato, ad esempio, da un report di Bussola Italia. C’è il fattore della visione di insieme e di lungo periodo o quello dell’aderenza ai principali costituzionali: in entrambi i casi i giudizi sono positivi. Meno positivo il verdetto sulla consapevolezza e sulla partecipazione dei cittadini, specie di quelli più giovani. Sembra, insomma, che tutto venga calato dall’alto.
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