Next generation Eu, tanto passato e poco futuro

Tutti continuano a chiamarlo “Recovery plan”. In realtà, da tempo il piano per il rilancio dell’economia europea è stato ufficialmente denominato “Next generation Eu”. Questo riferimento alle nuove generazioni, in teoria, dovrebbe rappresentare un segnale forte e avere un peso rilevante. Ma il fatto che le decisioni e la gestione di tale montagna di fondi siano legate a vecchie logiche, comprese quelle del ricatto politico, e passino sulla testa dei ragazzi non promette nulla di buono. A ben vedere, la progettazione mira più a perpetuare pratiche del passato, con tutte le criticità connesse, che non ad immaginare un futuro migliore.

Tutto ciò in una scenario nazionale e internazionale non certo roseo, caratterizzato dai mali italici ormai atavici a cui si aggiungono le sofferenze prodotte dalla pandemia. Le prospettive a breve e lungo termine non sono migliori, specie sul fronte della situazione occupazionale.

Eppure saranno proprio le prossime generazioni a pagare le inefficienze e le incoscienze di ieri e di oggi. Saranno loro, gli attuali ragazzi, a dover fare i conti con un debito pubblico, reso ancora più pesante anche dai prossimi fondi europei, che costituisce una spaventosa zavorra in grado di condizionare ogni politica presente e futura. I cittadini adulti di domani saranno immersi in una crisi di sistema, accentuata dalla pandemia in atto, attenuata per ora dalla decisione di Bruxelles di sospendere il Patto di stabilità e di crescita, dagli interventi della Banca centrale europea e da alcune misure tampone nazionali, come la cassa integrazione e il blocco dei licenziamenti fino a marzo.

Si tratta, tra l’altro, di nuove generazioni subordinate ad una sorta di assolutismo digitale. Un mondo virtuale che li estranea dai problemi di ogni giorno. Il Covid, privandoli della normalità, ha ulteriormente accentuato le loro fragilità, riducendo le possibilità di incontro e di confronto. Molti di coloro che già lavoravano, per lo più nella precarietà, hanno visto scomparire il ventaglio, già ristretto, di opportunità.

Mentre l’Unione europea ricorda al nostro Paese di prestare maggiore attenzione alle politiche attive del lavoro giovanile, il governo sostanzialmente liquida le esigenze dei giovani riservando loro il cosiddetto welfare familiare (in Italia chiamato Family act), del tutto insufficiente per sostenerli nelle aspirazioni.
Oltre alla sostenibilità ambientale, che dovrà costituire la cornice del nostro futuro, l’impegno dovrebbe concentrarsi nell’istruzione e nella formazione, nelle politiche di sostegno al lavoro, anche attraverso incentivi alle assunzioni, in misure per l’occupazione, nell’aiuto alla creazione di giovani imprese e start-up, negli stimoli all’innovazione, compresa la digitalizzazione e l’ammodernamento delle infrastrutture.

A fronte della discontinuità negli interventi più coraggiosi sul piano dell’innovazione, delle reti digitali e dell’Industria 4.0, delle tante opere incompiute nel nostro Paese (esemplari i 25 anni di sprechi nell’area ex Ilva a Bagnoli rimasta per lo più una discarica), della diffusa incapacità di intercettare o di investire bene i fondi europei ordinari, di una litigiosità politica che resta incomprensibile per la maggior parte dei cittadini italiani, l’esigenza di voltare pagina nella gestione del “Next Generation Eu” è assoluta. Coinvolgendo direttamente i ragazzi, cui stiamo lasciando in eredità più problemi che opportunità. Purtroppo.

 

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