Scacciavillani: “Lo Stato valorizzi le famiglie delle persone disabili”

Giovanni Scacciavillani, 69 anni, esperto di diritto del lavoro, ex funzionario Unicredit, dal 2000 è responsabile nazionale dell’Ufficio Politiche della Disabilità dell’Ugl e membro dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità (Ond). Nel 2017 è stato decorato con la “Stella al Merito del Lavoro” dal Presidente della Repubblica e insignito del titolo di “Maestro del Lavoro”. 

Dottor Scacciavillani, già nel 2013, nel suo ruolo in Ugl, avanzò la proposta della creazione di un “Osservatorio per i lavoratori con disabilità” all’interno delle realtà lavorative di una certa dimensione, con il compito di monitorare il percorso formativo e di inserimento lavorativo e sociale del lavoratore con disabilità, al fine di ottenere la sua piena integrazione e realizzazione professionale. Tale proposta è stata recepita dall’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità con un progetto sperimentale che fa parte del secondo “Pro- gramma d’azione biennale per la promozione dei diritti e l’Integrazione delle persone con disabilità”, permettendo così l’attuazione di alcuni dei principi previsti dalla Convenzione Onu sulle persone con disabilità. Può es- sere considerato un precursore dei tempi. Ci spiega il percorso che l’ha portata alla formulazione di tale proposta?

Il “Progetto sperimentale per l’istituzione di un Osservatorio per i lavoratori con disabilità nei contesti aziendali” è sviluppato dalla proposta da me ideata e portata avanti con insistenza da circa 15 anni, frutto anche dell’esperienza maturata sul campo come sindacalista. È da rilevare che la proposta è stata già inserita nel primo “Programma d’azione biennale” 2013/2015, recepito con Dpr del 4 ottobre 2013.
Il Progetto sperimentale è stato elaborato dall’Osservatorio nazionale disabilità su mia iniziativa e, mi preme evidenziare, ha visto la comunione d’intenti e la condivisione dei contenuti e dell’impianto presenti nel documento da una molteplicità di rappresentanze: Confindustria, Ugl, Cgil, Uil, Università di Bologna, Ens, CoorDown e dalla stragrande maggioranza dell’Ond.
Il “Progetto” fa parte del secondo “Programma d’azione biennale” elaborato dall’Ond, varato nella V Conferenza nazionale di Firenze 2016 e recepito con Dpr del 12 ottobre 2017. 

La dizione “Osservatorio” risponde alla necessità culturale di creare un’unità tecnica collegiale avente carattere di terzietà e si pone quindi quale garante della corretta e reale integrazione del lavoratore con disabilità in azienda senza sovrapposizione alla volontà del lavoratore stesso che può richiederne l’intervento solo se lo ritiene utile e/o opportuno. Il valore culturale dell’Osservatorio, pensato in perfetta adesione a quanto richiesto dalla “Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità” (ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18), è da ravvisare in un approccio non paternalistico sostitutivo nei processi decisionali, ma nella piena valorizzazione dell’autonomia e del diritto del lavoratore con disabilità ad avere ciò che è necessario al suo sviluppo professionale e alle sue necessità di cura e vita. In seno all’Ond abbiamo pertanto condiviso ed elaborato un progetto legato a principi e valori fondanti (condivisione, semplicità, assenza di oneri, efficacia) e a scelte (carattere sperimentale e volontario) essenziali, per ogni iniziativa che si proponga di superare alcune delle molte criticità che oggi si presentano nella materia del collocamento mirato. 

L’Osservatorio aziendale, a mio giudizio, è la sola struttura in grado di garantire la reale rimozione dello stigma “disabile uguale non abile”, che purtroppo vede ancora il lavoratore con disabilità come un peso da sopportare (per le lavoratrici donne aggravato anche dalla diversità di genere), e di conciliare le sue esigenze di cura lavoro e vita. L’Osservatorio si pone l’obiettivo di seguire con “piani individualizzati” i lavoratori con disabilità in tutte le fasi del percorso lavorativo ed è la vera risposta alle esigenze degli stessi che molto spesso dopo l’assunzione vengono relegati ai margini dell’attività aziendale, se non addirittura mobbizzati. Da una ricerca effettuata su un campione statisticamente significativo di oltre 1000 pmi italiane è emerso che la maggior parte dei dipendenti con disabilità ricopre un ruolo di mero supporto, quindi impiegatizio, e difficilmente essi possono aspirare a ruoli di prestigio. Indagando sulle motivazioni che avevano portato all’assunzione della persona con disabilità, i responsabili delle Risorse Umane hanno indicato sempre che era stata la necessità di soddisfare un obbligo previsto dalla legge e solo nel 3 per cento dei casi l’assunzione era legata esclusivamente all’abilità del candidato. Da tale ricerca è risultato impietosamente che solo un’azienda su quattro si preoccupa dell’iter lavorativo dei lavoratori con disabilità, le altre hanno il solo fine di adempiere l’assunzione in base alla legge e li abbandonano al loro impietoso e solitario destino. 

In cosa consiste l’Osservatorio aziendale per i lavoratori con disabilità?

La struttura “Osservatorio” indicata nel Programma d’azione, composta da rappresentanti dell’azienda e delle OO.SS., dal medico competente, dal responsabile del servizio prevenzione e protezione (Rspp), dal disability manager e da altri eventuali esperti interni ed esterni all’azienda, avrebbe il compito di monitorare costantemente il percorso formativo e di integrazione dei singoli lavoratori con disabilità per identificare le cause che ne impediscano eventualmente la piena valorizzazione professionale e la produttività, indicando gli interventi mirati al superamento delle stesse. Esso potrebbe intervenire sugli aspetti psicologici e motivazionali del lavoratore, con aumento dell’autostima e la conseguente valorizzazione della sua capacità lavorativa, tale da non farlo sentire più come un peso, un malato meritevole solo di pietà, ma una persona integrata e partecipe attivamente della vita aziendale. Il sistema proposto, in perfetta adesione con quanto richiesto dalla “Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità”, dalla legge 68/99 (e successive integrazioni e modificazioni), dalla legge 104/92, dalle norme di tutela non discriminatorie e di parificazione di opportunità (decreto legislativo n. 216/2003, legge n. 67/2006), è la vera risposta alle esigenze di tutti i lavoratori e le lavoratrici con disabilità e in particolare per quelli con patologie oncologiche, con sclerosi multipla o malattie similari che, con l’individualizzazione dell’intervento, potrebbero farsi applicare un trattamento diversificato con modalità di lavoro differenti da quelle adottate, per conciliare le loro esigenze di cura, vita e lavoro. 

Tale trattamento verrebbe gestito da una specifica autorità, l’Osservatorio appunto, che tramite la figura aziendale del disability manager potrebbe consentire, con la rimozione degli ostacoli, l’adozione di soluzioni ragionevoli e specifiche per la conciliazione dei tempi di cura, lavoro e vita del lavoratore. L’Osservatorio quindi si porrebbe anche come garante per le scelte di adeguati “accomodamenti ragionevoli” (provvedimenti appropriati in funzione delle esigenze concrete dei lavoratori con disabilità), come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite. L’Osservatorio aziendale avrebbe altresì una funzione di indirizzo ai fini dell’incrocio domanda-offerta in funzione dell’analisi svolta dal disability manager circa le figure presenti negli elenchi degli uffici competenti. 

Alcune grandi aziende, come la farmaceutica Merck Serono e l’Unicredit, stanno sperimentando l’Osservatorio aziendale per i lavoratori con disabilità e con esso il disability manager. Quali funzioni tale figura assolve?

Questa nuova figura aziendale, svolge un ruolo estremamente importante perché, come “facilitatore a tutto campo”, si raccorda con tutte le unità produttive aziendali, in quanto espressione tecnica dell’azienda stessa, agendo dal suo interno e conoscendo bene l’articolazione della struttura lavorativa. Il disability manager è un’emanazione diretta dell’Osservatorio, curando l’attuazione degli indirizzi emanati da quest’ultimo organo che si riserva di esercitare il ruolo di verifica del processo d’integrazione socio-lavorativa dei lavoratori con disabilità. Non sarà lui l’unico referente per la persona con disabilità che necessariamente resterà comunque inserita in un’organizzazione aziendale, piuttosto agirà per la sua concreta e reale inclusione senza creare conflitti di competenze e senza alterare le dinamiche aziendali. 

Dal mondo accademico sono arrivate importanti conferme dell’importanza dell’Osservatorio aziendale per i lavoratori con disabilità e del ruolo del disability manager all’interno dei luoghi di lavoro. Nello studio del 2017 “Laboro ergo sum: quando il lavoro abilita l’uomo”, di Silvia Angeloni dell’Università del Molise ed Elio Borgonovi dell’Università Bocconi di Milano, viene sottolineato come la natura collegiale caratteristica dell’Osservatorio sia in linea con il carattere trasversale e multidisciplinare della disabilità. I due autori precisano in merito che “Se il disability manager, usando il lessico dell’ICF, deve essere un “facilitatore” a tutto campo, è molto plausibile ritenere che un team di esperti, piuttosto che una singola persona, possa meglio coniugare tutte quelle diverse conoscenze, competenze, prospettive, e professionalità che facilitano la buona inclusione e la produttività del lavoratore con disabilità”. 

Ritiene che l’applicazione dello smart working possa venire incontro alle esigenze dei lavoratori con disabilità?

Il Covid-19 ha sicuramente portato le istituzioni a raccomandare, se possibile, l’adozione del lavoro agile per tutti i dipendenti. Peraltro alcuni studi hanno evidenziato come lo smart working sia la nuova frontiera dell’occupazione, prospettando l’apporto di numerosi vantaggi in termini di maggiore produttività, minore diseguaglianza tra i generi, aumento del benessere per la vita lavorativa e familiare grazie all’adozione di orari flessibili e riduzione del pendolarismo e del traffico con conseguente diminuzione dell’inquinamento atmosferico. Però lo smart working prospetta anche pericoli di possibili regressioni culturali e sociali per alcune tipologie di persone, come per le donne di fatto gravate dal lavoro d’ufficio e da quello di cura della casa e dei figli, e per le persone con disabilità progressivamente distanziate dal luogo di lavoro che rappresenta non solo uno spazio di scambio professionale, ma anche e soprattutto sociale, relazionale e culturale. Se non ben regolato e gestito, lo smart working potrebbe accentuare la disparità sociale e vanificare i progressi avuti per l’inclusione lavorativa dei lavoratori con disabilità. Anche qui acquista valore una struttura terza, come appunto l’Osservatorio per i lavoratori con disabilità, in grado di valutare se il ‘lavoro agile’ possa configurarsi come ‘accomodamento ragionevole’ ai sensi della Convenzione Onu e corrispondere alla libera scelta e alle esigenze dei lavoratori con disabilità, o se invece si prospetti come uno strumento regressivo che confina i lavoratori nello stretto perimetro delle mura domestiche. 

Nel suo intervento al congresso Anmic a fine 2019 ha sostenuto che “la crisi economica sta lasciando un ‘esercito’ di poveri composto principalmente da giovani e un forte aumento della disuguaglianza sociale ed economica. E la situazione non può che peggiorare, considerati il basso indice di natalità e il progressivo invecchiamento della popolazione. Se la vita media degli italiani sta aumentando, è prevedibile che ciò causerà l’incremento di malattie croniche e un aumento di persone non autosufficienti con una considerevole crescita della spesa per cure e assistenza a lungo termine. Per tali cure l’Italia risulta essere il fanalino di coda in Europa”. Quale tipo di soluzione è prospettabile per sostenere le persone in difficoltà non autosufficienti?

La mia affermazione parte da ricerche effettuate che vedono l’Italia tra gli ultimi Paesi europei per risorse destinate alla protezione sociale delle persone con disabilità. Tali indagini confermano che il modello italiano rimane essenzialmente assistenzialistico, basato sulla delega alle famiglie che ricevono il mandato implicito di provvedere autonomamente ai bisogni delle persone con disabilità, senza avere l’opportunità di potersi rivolgere a strutture competenti e accedere così a servizi erogati da organizzazioni professionali che detengono conoscenze specifiche e risorse adeguate e che potrebbero garantire livelli di assistenza migliori anche in un’ottica di valorizzazione delle capacità delle persone con disabilità finalizzate alla promozione della loro autonomia. 

Venendo meno tutto ciò, la famiglia deve farsi carico delle esigenze assistenziali ed esistenziali della persona con disabilità. In Parlamento c’è un progetto sull’istituzionalizzazione della figura del caregiver (chi si prende cura) che tarda a essere approvato, ma io sostengo un’altra posizione, più ampia e comprensiva, secondo la quale è un atto doveroso prendersi carico delle necessità dell’intera famiglia della persona non autosufficiente. La comunità familiare ha bisogno non solo di un sostegno economico adeguato, ma anche di una rete di servizi adeguati a cui poter ricorrere, per agevolare il percorso di vita della persona con disabilità. Si può prevedere così un coinvolgimento responsabile di tutto il nucleo familiare, facendo in modo che l’assistenza della persona cara in difficoltà non gravi esclusivamente su un solo membro, individuabile nella maggior parte dei casi nella figura femminile presente all’interno della famiglia (mamma o moglie). Oltre ad una rete dei servizi pubblici più efficiente, con percorsi preferenziali per le esigenze sanitarie e burocratiche, ai singoli componenti della famiglia potrebbero essere riconosciute misure di sostegno economiche per favorire una corretta vita relazionale e concedere all’intero nucleo familiare il diritto all’intervento di sollievo, rappresentato da eventuali supporti in caso di emergenza quali servizi sostitutivi presso il domicilio dell’assistito e un centro di accoglienza temporaneo di qualità per una durata più o meno lunga a seconda della necessità (vacanze, riposi, salute, ecc.). Indispensabile anche il riconoscimento di forme agevolative quali part time, smart working, permessi e aspettative, in linea con le esigenze prioritarie di cura del familiare assistito. 

Dal punto di vista previdenziale si potrebbe pensare a contributi figurativi per la pensione, fino a un massimo di 3 anni, per i familiari che si prendono cura della persona con disabilità in modo costante. Come strumento di politica fiscale si potrebbe applicare alle famiglie che hanno al loro interno una persona non autosufficiente, un sistema di tassazione con progressività non più basato sul reddito individuale, ma sul tenore di vita potenziale di una famiglia, cioè sul reddito familiare opportunamente corretto tenendo conto della numerosità e della composizione del nucleo familiare, sulla base delle necessità rispetto agli oneri. Tale nuova prospettiva del superamento della figura del caregiver, richiede un cambiamento culturale laddove la famiglia deve essere riconosciuta, oltre che come soggetto istituzionale, come portatrice di valori di solidarietà, sostegno e condivisione dei compiti di assistenza della persona non autosufficiente: un microsistema integrato di valori e servizi. Per questo e per il valore sociale del lavoro svolto, che comporta anche un notevole risparmio sulle spese dell’assistenza, la famiglia deve essere valorizzata e sostenuta dallo Stato. 

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